Il primo uso della cannabis, almeno per quanto riguarda le sue infiorescenze, è quello ricreativo. Ed è anche il più famoso, e quando si parla di marijuana si intende tipicamente il fumarla per divertirsi o rilassarsi. Ma esiste anche un altro utilizzo, molto meno appariscente eppure altrettanto valido. Anzi forse perfino più importante. Sto parlando della marijuana medica e della sua utilità nel trattamento di parecchie condizioni.
La marijuana medica è una classe di cannabis sviluppata espressamente per esaltare la concentrazione di principio attivo nelle sue infiorescenze, e viene utilizzata in ambito medico in un numero di vesti diverse. Tipicamente è il THC il principio attivo più ricercato nella cannabis terapeutica, ma si sta facendo ricerca anche su altre sostanze, come il CBD.
Marijuana ricreativa e marijuana medica, dove sta la differenza
Se immaginiamo una persona impegnata in una buona fumata (di marijuana), tipicamente pensiamo ad un ragazzo tranquillo, e probabilmente abbandonato sul divano con un sorrisino beato sul volto. Nella gran parte dei casi abbiamo ragione, ma esistono anche immagini purtroppo molto meno allegre. Non sempre infatti la marijuana è utilizzata per divertirsi o aumentare una sensazione di benessere già presente. E può capitare che la cannabis sia uno strumento utile ad alleviare la sofferenza dei pazienti, affetti da una varietà di condizioni poco piacevoli. In questo caso si parla di uso medico della marijuana, e non ricreativo. Ma le varietà cambiano? o rimangono le stesse?
Botanicamente parlando, la cannabis terapeutica è utilizzabile anche a scopo ricreativo. Anzi, le varietà sviluppate espressamente per un utilizzo medico contengono solitamente un’altissima concentrazione di THC, e sono quindi estremamente allettanti per coloro che desiderano un high quanto più potente. Queste genetiche però hanno alcune differenze, forse perfino svantaggi, rispetto alla cannabis classica.
Differenze di legge e di gusto
La prima differenza della cannabis terapeutica è di tipo legale. La marijuana medica ad alto contenuto di THC non è infatti di libera distribuzione in nessun paese occidentale (e anche se siete consumatori autorizzati, vedremo che dovrete superare altri problemi), e il suo mercato è quindi completamente in mano alla criminalità. A dirla tutta anche la cannabis tradizionale ricreativa è illegale in parecchi paesi. Tuttavia il panorama della cannabis tradizionale è parecchio vario, e le fonti innumerevoli. Mentre quello della cannabis medica è molto più ristretto, tanto da rappresentare uno svantaggio.
La seconda differenza, che direi svantaggio, è infatti proprio la scarsa libertà di scelta. Laddove la cannabis medica viene intesa come un vero e proprio farmaco, ricade sotto l’immenso ombrello di restrizioni e controlli farmaceutici. Il costo di test e certificazioni è talmente alto che solo poche entità sono in grado di sostenerlo. E in ogni caso, non ha molto senso spendere per certificare due varietà quando ne basta una. Perciò se di cannabis ricreativa se ne possono trovare infinite varietà (solo noi ne offriamo un’ampia selezione, dalla Strawberry all’intramontabile Super Skunk, alla Moonrock), di marijuana medica esistono relativamente poche genetiche. Tutte in mano ad aziende non proprio amichevoli e indipendenti.
Il gusto e la funzione
Ed ecco che ci troviamo di fronte alla terza differenza: l’obbiettivo del mercato e quindi, di riflesso, degli sviluppatori di nuove varietà. Nel caso della marijuana ricreativa, i gusti delle persone sono ciò che comanda. Vengono sviluppate genetiche dal sapore asprigno, come la sour diesel, così come loro cugine molto più dolci. Tutto per coprire ogni nicchia dello spettro aromatico e poter offrire qualcosa di adatto ad ogni palato. Ma quando si parla di cannabis terapeutica, l’aroma è tra i parametri meno importanti per i grower. Chi sviluppa marijuana medica infatti è interessato prima di tutto ad un prodotto che presenti il giusto contenuto di principio attivo. Poi viene la stabilità della genetica, e con essa la scarsa variabilità delle concentrazioni di principio attivo nella materia prima. Ancora dopo viene l’efficienza produttiva, sempre molto importante per le grosse industrie.
Le caratteristiche aromatiche sono rimangono in fondo alla lista, e anzi un produttore potrebbe avere interesse a sviluppare una varietà con un sapore quanto più neutro. Inutile dire che questo è uno svantaggio non da poco per gli appassionati di marijuana.
La differenza più importante tra cannabis medica e ricreativa: il bisogno
Quelle che ho esposto poco fa sono differenze specifiche della pianta, ma forse la più importante dipende invece dal consumatore.
La cannabis ricreativa è utilizzata per libera scelta, e non succede nulla di grave se non è disponibile (magari si rimane un po’ contrariati). Mentre la marijuana medica è utilizzata per curare una condizione, e in sua mancanza la persona dovrà o ricorrere a sostanze spesso più pesanti e problematiche, o tenersi il dolore o la condizione.
Tradizioni e cannabis terapeutica
La tradizione della cannabis come erba medicamentosa è antica. Molto antica. Più antica della scrittura. Anche se va detto che quanto più andiamo indietro nel tempo, tanto più le informazioni si fanno imprecise. Come se non bastasse, l’approccio farmacologico moderno è relativamente recente, fino a qualche centinaio di anni fa ancora si credeva ancora che umori e salassi fossero l’apice della medicina. Quando degli archeologi ritrovano tracce di cannabis è quindi difficile dire con sicurezza quale fosse l’uso che gli antichi ne facevano. Magari era mistico, o sacerdotale, ma dopotutto nell’antichità i saggi svolgevano la duplice funzione di sacerdote e guaritore.
La cannabis terapeutica nel neolitico
Dobbiamo tenerlo a mente quando pensiamo alla scoperta che fecero alcuni archeologi olandesi una decina di anni fa. Essi riportarono alla luce una tomba risalente al neolitico, e tra i resti trovarono un’altissima concentrazione di polline. Dopo anni di esami e analisi, il polline si rivelò essere proprio quel polline. Polline di cannabis. Mescolato a quello dell’Olmaria, una pianta con proprietà antinfiammatorie, lascia supporre che l’occupante della tomba ci possa essere finito in seguito ad una qualche infezione, e che la marijuana medica sia stata usata per curarlo.
Ma se il neolitico è un’epoca davvero lontanissima, la cina antica è più vicina. In particolare a Taiwan conoscevano la cannabis fin dal diecimila avanti cristo, anche se probabilmente la usavano principalmente come fibra tessile. Non che fosse una cattiva idea, anzi, abbiamo visto anche noi quanto è utile.
Marijuana medica nell’oriente vicino e lontano
Alcuni papiri egiziani datati intorno al duemila avanti cristo menzionano la cannabis come trattamento per una varietà di disturbi, dalla congiuntivite alla stitichezza. In Cina sono più precisi, e un trattato medicinale del cento dopo cristo la marijuana è indicata come anestetico.
I paesi arabi invece utilizzano la cannabis terapeutica più liberamente, almeno nell’antichità. E non stupisce, visto il legame che tutt’ora sussiste nella cultura popolare tra hashish e Arabia.
La medicina indiana
Quando si parla di cannabis terapeutica non si può non menzionare l’India. Il paese vanta un legame, sia culturale che agricolo ed economico, ben più che millenario con la cannabis. La piantina è profondamente radicata nella tradizione indiana, così come nella sua religione. È quindi naturale per un guaritore indiano consigliare la marijuana per curare dolori e indisposizioni varie.
L’approccio moderno alla cannabis medica
Possiamo quindi dire che passato la marijuana medica veniva utilizzata in maniera “istintiva”, senza realmente conoscerne a fondo tutte le caratteristiche e gli effetti. I greci ne utilizzavano le foglie per medicare le ferite agli animali, probabilmente a causa dell’effetto calmante. Un testo indiano prescrive il bhang (una bevanda a base di cannabis) per “rinfrescare l’intelletto e dare gaiezza alla mente. Migliorare la digestione e stimolare l’appetito”.
Tutti consigli probabilmente realistici, ma poco quantitativi. E come tali, poco digeribili dalla prassi medica moderna, che vuole sapere esattamente quanti milligrammi di principio attivo curano un mal di testa..
E infatti, la cannabis terapeutica viene attualmente considerata come una semplice fonte di principio attivo. Nello specifico, di THC.
Inizialmente, solo l’effetto sedante del THC veniva riconosciuto. Più recentemente sono stati individuati centinaia di composti cannabinoidi, ognuno con la sua funzione e utilità. Il CBD ad esempio sembra essere il responsabile dell’effetto antiepilettico, così come il CBC pare sia un ottimo antiinfiammatorio.
Fino a qualche decennio fa queste sostanze erano sconosciute, e la marijuana medica veniva considerata solo sulla base dei suoi effetti più palesi, tipicamente quelli psicotropi.
Ora però si sta facendo chiarezza, anche se lentamente, e le preparazioni a base di cannabis hanno conquistato il banco del farmacista.
Come tanti farmaci, anche la marijuana medica è disponibile in varie forme. Dalle pillole di estratto, all’olio, alla crema. Senza dimenticare ovviamente anche le tradizionali infiorescenze.
Il fabbisogno italiano di cannabis terapeutica
Per produrre pillole e creme farmaceutiche, ma anche infiorescenze, è necessaria una cannabis terapeutica dalle caratteristiche ben precise. Sviluppare una genetica che mantenga stabili i suoi parametri è già un’impresa in sé. Coltivarla e trasformarla è ancora più complesso. Soprattutto dato che il notevole contenuto di THC la renderebbe illegale, almeno qui in Italia.
Infatti nel bel paese la coltivazione di cannabis terapeutica ad uso farmacologico è prerogativa dello stato. Esiste un solo stabilimento farmaceutico militare autorizzato a produrla, che dovrebbe rifornire l’Italia intera.
Come è facile immaginare, il risultato è che le quantità di marijuana medica prodotte riescono a soddisfare solo in parte il fabbisogno nazionale. I prezzi, già alti a causa degli innumerevoli controlli e certificazioni, salgono ancora di più. E i consumatori, spesso veri e propri pazienti medici, sono costretti a rivolgersi al mercato nero, o a quello d’importazione.
Una situazione non particolarmente rosea, sopratutto per le casse dello stato che vedono volar via parecchi introiti, assorbiti dalla criminalità o deviati verso paesi esterni. La speranza è che la liberalizzazione completa della cannabis, medica e ricreativa, possa equalizzare un po’ il mercato, ma la strada è da fare è ancora tanta.
Nel mentre, noi appassionati possiamo solo aspettare, far sentire la nostra voce, e magari esplorare ciò che la cannabis light può offrirci.