Da Gennaio 2020 è attivo il decreto che stabilisce il limite legale di THC presente negli alimenti a base di cannabis light. Si aprono così nuove strade.
Per i coltivatori e i produttori il decreto del 15 Gennaio 2020 è stato davvero un’ottima notizia. La precedente legislazione lasciava scoperto il campo d’impiego alimentare della cannabis light. In questo modo vendere prodotti alimentari a base di cannabis poteva essere rischioso. Da questo momento, avendo ben chiari i limiti, i produttori potranno effettuare tutti i test per essere in regola e i venditori saranno più sereni.
La quantità di THC negli alimenti alla cannabis light
A partire da Gennaio è possibile vendere in tranquillità i prodotti alimentari che derivano dalla cannabis light rispettando il limite massimo di THC presente. Questa legge va a colmare un vuoto che lasciava in bilico tutti i produttori e i commercianti che pur trattando solo cannabis light, non potevano contare sulla base solida di una legge nella vendita dei loro prodotti alimentari.
Grazie a questo decreto ora i produttori potranno certificare i loro prodotti e i negozianti dormiranno sonni più tranquilli. Nel decreto inoltre è specificato che i prodotti alimentari a base di cannabis light, a basso contenuto di THC, possono essere acquistati e venduti anche da altri paesi, purché provengano da uno degli Stati dell’Unione Europea, dalla Turchia o dai paesi che fanno parte dell’EFTA (European Free Trade Association). Tra questi paesi sono incluse l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Svizzera.
Cosa dice il decreto
In base al decreto i limiti di THC indicati per gli alimenti a base di cannabis light sono i seguenti:
- relativamente ai semi di canapa e derivati (farina di canapa o semi di canapa triturati, spezzettati o macinati con consistenza diversa dalla farina), il limite imposto è di 2,0 mg/Kg (milligrammi al chilo). Questo limite si traduce in percentuale allo 0,0002%;
- relativamente all’olio ottenuto dai semi di canapa light (non si riferisce in questo caso all’olio di CBD che viene estratto dalle infiorescenze) il limite di THC è imposto a 5,0 mg/Kg. In percentuale è tradotto con 0,0005%;
- relativamente agli integratori contenenti alimenti derivati dalla cannabis light, il THC imposto è come per le farine e i semi dello 0,0002% (2 mg/Kg).
Nel decreto si specifica anche che questo tipo di prodotti non possono rientrare nella regolamentazione europea di Novel Food. Infatti questo tipo di prodotti erano già regolarmente consumati da prima del 1997. Come già citato, nell’articolo 7 viene anche specificato che i prodotti sono soggetti al mutuo riconoscimento. Quindi i le merci commercializzate legalmente negli stati membri, in Turchia o nei paesi facenti parte dell’EFTA, possono essere comprate anche in Italia.
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Il decreto sul thc della cannabis light che si è fatto attendere
A seguito della legge 242/2016 non c’erano altri decreti che spiegassero o indicassero la quantità consentita di THC nei prodotti alimentari a base di cannabis light. Questa legge si limitava a regolamentare sommariamente il mercato della marijuana light. Nell’articolo 5 in particolare si specificava che entro i 6 mesi dall’entrata in vigore si sarebbe presentato un decreto del Ministro della Salute che si sarebbe dovuto occupare di determinare i suddetti limiti. Sfortunatamente abbiamo dovuto aspettare ben più di 6 mesi. Infatti solo 4 anni dopo l’entrata in vigore del decreto 242/2016 siamo riusciti ad avere chiarezza in materia.
Prima del decreto i coltivatori potevano coltivare canapa light (con un tasso di THC inferiore al 0,5%) e produrre i derivati senza una regolamentazione chiara che li rendeva soggetti a possibili penalizzazioni.
I lati negativi
Se è vero che adesso i produttori e i negozianti sono tutelati da una legge più chiara, è anche vero che i limiti imposti dalla legge sono estremamente restrittivi. Anche la Cia-Agricoltori Italiani si è espressa a riguardo sottolineando come “i limiti proposti restano assai restrittivi per gli agricoltori e vanno alzati di concerto con gli operatori della filiera”. Anche se la tutela dei coltivatori e dei produttori è un enorme passo avanti non è altro che il primo di una lunga serie. Inoltre è ancora necessario un maggiore dialogo tra i paesi Europei per armonizzare le norme e i limiti da seguire.
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