Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta di fame chimica (meno frequentemente appetito chimico). Si tratta infatti di un fenomeno strettamente collegato all’uso della cannabis o della cannabis light, e molti fumatori l’hanno sperimentata più di una volta. Pochi, però, sanno quali siano le cause di questo strano e irrefrenabile appetito, o come contrastarlo. In questo approfondimento vediamo nel dettaglio cos’è la fame chimica, come si manifesta e perché fumare provoca attacchi di appetito insaziabile. Ma non solo, perché ci soffermiamo anche sulle ultime ricerche che ne spiegano le cause e il funzionamento, e cerchiamo di rispondere alla domanda: la fame chimica fa ingrassare? A fine articolo cercheremo anche di capire se la marijuana legale fa venire la fame chimica. (Se vuoi scoprire di più riguardo la legalità della cannabis light clicca qui)
Disclaimer: questo non è un articolo di consigli medici e le informazioni qui riportate non sostituiscono il parere di un medico.
Fame chimica: cos’è
Innanzitutto, è bene definire cosa intendiamo con il termine fame chimica, prima di poterla analizzare e riconoscere. Quando parliamo di fame chimica parliamo del forte e irresistibile appetito che spesso si avverte dopo aver consumato dosi sostanziose di marijuana. Non c’è il rischio di confonderla con altri disturbi. È facile infatti riconoscerla dal normale appetito perché è acuta e si presenta spesso anche a stomaco pieno. Ed è quasi impossibile resisterle.
La sensazione più frequente che si prova, quando si sperimenta la fame chimica, è quella di non mangiare da giorni; una sensazione che dà origine al bisogno viscerale e inspiegabile di assumere calorie per rimanere in piedi. Chi è preda della fame chimica di solito si trova vittima di una voglia inarrestabile di consumare cibi, soprattutto zuccherati.
In America è nota come chemical hungry o anche come munchies effect, proprio perché spinge chi ne è soggetto a sgranocchiare e spizzicare snack senza controllo. A provocarla, questo ormai lo sappiamo bene, è il THC contenuto nella marijuana tradizionale. Il principio attivo più noto della cannabis è infatti in grado di ingannare il nostro cervello, facendogli percepire una smisurata sensazione di appetito.
Ma come si manifesta la fame chimica, e perché fumare la provoca?
Vediamolo insieme.
Come si manifesta
Appetito insaziabile e bisogno di ingerire cibo subito e in grandi quantità. È questo il modo in cui, chi ne è affetto, descrive questo disturbo. La fame chimica si presenta, solitamente, tra la mezz’ora e le due ore dopo il consumo di cannabis. Si tratta, però, di un intervallo molto soggettivo, e sono diverse le variabili che possono influenzarlo. Età, costituzione, regime alimentare e stile di vita sono tutti dettagli che possono alterare il modo in cui si presenta la fame chimica. Ciò che invece non cambia sono gli effetti.
La fame dura diverse ore, durante le quali chi ne è preda sente, appunto, l’irrefrenabile desiderio di assumere cibo. Proprio come se fosse a digiuno da giorni, benché possa avvertire questo appetito anche a stomaco pieno.
I cibi più ricercati, quando si è in piena crisi, sono quelli ad alta concentrazione di zuccheri semplici. Merendine, cioccolato, biscotti e dolci in generale sono i primi bersagli; ma anche alimenti composti da zuccheri complessi come i carboidrati possono diventare molto allettanti quando si è preda della fame chimica. Questo perché l’organismo percepisce la sensazione di inadempienza, e spinge il corpo e la nostra mente a provvedere per attenuare questa sensazione. I cibi zuccherati costituiscono una risorsa immediata e facilmente accessibile di glucosio, la mattonella fondamentale sulla quale si basa il nostro intero sistema energetico.
Il rischio più grosso in cui si incorre, quando si è nel pieno di una crisi da fame chimica, è quello di mangiare spinti dalla sensazione di vuoto. Incapace di attenuare lo stimolo della fame, il corpo si nutre convinto di aver bisogno di risorse. Il pericolo è quello di andare avanti fino a saturare la capacità dell’organismo di assimilare gli alimenti. Nei casi più gravi, si arriva a soffrire di nausea e crisi emetiche, perché l’organismo ingerisce quantità eccessive di calorie e di grassi e non è più in grado di processarle.
Perché fumare provoca fame chimica
Ma cos’è che provoca la fame chimica? Da cosa deriva questo bruciante e irrefrenabile appetito?
Sono anni che i ricercatori indagano in cerca di una spiegazione per questo strano fenomeno. La realtà, però, è che ancora non abbiamo una risposta certa a questa domanda. Questo perché ancora non conosciamo l’esatto funzionamento del sistema endocannabinoide, l’apparato di recettori che si interfaccia con i principi attivi della marijuana. Quello che sappiamo, finora, è che c’è uno stretto collegamento tra THC e sistema celebrale, del quale abbiamo spesso parlato anche qui sul blog weweed.
Nel caso della fame chimica, a venire influenzati dall’assunzione del Delta-9-tetraidrocannabinolo sembrano essere i neuroni responsabili della sintesi del POMC, il proormone pro-opiomelancortina. Il POMC è l’ormone che si occupa di inviare al cervello il segnale che interpretiamo come sazietà. In parole semplici, è il messaggero che comunica al nostro organismo che in quel momento possiede tutte le risorse di cui ha bisogno.
Si tratta di un segnale riconoscibile dal nostro corpo e che viene interpretato come una cessazione dello stimolo della fame. Il THC sembra in grado di interferire con la naturale sintesi del POMC e di impedire ai neuroni il corretto invio del senso di sazietà.
Quello che sembra accadere, dunque, quando si consuma marijuana è che il segnale di sazietà generato dai POMC viene arrestato. Ma questo non è tutto. Perché se è vero che il segnale di sazietà viene bloccato, ancora non si spiega come mai proviamo una fame così intensa quando siamo sotto l’effetto del THC.
Il sistema endocannabinoide e la fame chimica
È qui che interviene il sistema endocannabinoide, del quale abbiamo spesso parlato qui sul blog. Sappiamo già che i principi attivi cannabinoidi, il THC in particolare, sono in grado di legarsi ai nostri recettori endocannabinoidi. Questa interazione è, ad esempio, alla base degli effetti fisici e psichici del tetraidrocannabinolo. Nel caso specifico della fame chimica, la chiave dell’interpretazione risiede nell’interazione tra THC e recettori CB1r.
Sembra infatti che il principio attivo della marijuana sia in grado di alterare il normale funzionamento dei CB1r; e di far sì che venga generato un segnale che il nostro organismo interpreta come senso di fame. La contemporanea stimolazione dei CB1r e l’inibizione dei neuroni POMC potrebbe dunque essere alla base del fenomeno della fame chimica.
La correlazione tra THC e neuroni POMC
Una delle ricerche più interessanti sul legame cannabis-fame chimica è stata pubblicata su Nature nel 2014. La ricerca, denominata The endocannabinoid system controls food intake via olfactory processes, ha interessato un gran numero di scienziati e di team di ricerca.Tutti, hanno fatto uso di gruppi di topi geneticamente modificati per indagare l’interazione tra THC, neuroni POMC e recettori CB1r. Quello che è emerso dai dati comparati è che, stimolando i due gruppi di neuroni POMC e CB1r selettivamente, si nota un comportamento strano e imprevisto nei topi.
Il naturale senso di sazietà che le cavie dovrebbero provare a stomaco pieno viene infatti meno se si stimolano i recettori Cb1r e i POMC con il THC. I topolini cominciano ad alimentarsi voracemente, preda della ben nota fame chimica. La spiegazione che si sono dati i ricercatori è proprio quella che abbiamo visto sopra: quando il Delta-9-tetraidrocannabinolo attiva i neuroni POMC, questi smettono di rilasciare gli ormoni pro-opiomelancortinici; rimane attivo solo il neurotrasmettitore beta endorfina, che è responsabile di un senso generico di benessere. A questo punto, è solo l’azione del THC sul recettore CB1r a controllare l’organismo, e i topi si trovano stimolati a mangiare fino a sazietà.
L’azione del THC sul bulbo olfattivo
Un’altra ricerca molto interessante, questa volta italo-francese, ha indagato il collegamento tra fame chimica e bulbo olfattivo. Lo studio, svolto nel Neurocentro Magendie di Bordeux, aveva come scopo quello di identificare e comprendere il legame tra cannabis e recettori CB1r in relazione agli stimoli sensoriali olfattivi. Anche in questo caso, gli esperimenti sono stati effettuati su due gruppi di cavie. Nelle prime, il bulbo olfattivo, sede tra le altre cose anche dei recettori CB1r, funzionava correttamente. Nel secondo, era stato inibito mediante mutazione genetica per confronto.
Ciò che è emerso è che solo nel primo gruppo, nel quale il bulbo olfattivo era effettivamente attivo, l’assunzione di THC comportava un fenomeno assimilabile alla fame chimica. Il gruppo di controllo, privato dell’organo, non mostrava infatti segni di appetito fuori dal normale. C’è dunque un collegamento tra l’azione di THC e il nostro apparato olfattivo. Ci vorranno ancora nuovi esperimenti per comprendere a fondo questo legame, ma è già un grande passo avanti essere riusciti a notare questa correlazione.
THC vs CBD: diverse molecole, diversi effetti sulla fame chimica
Abbiamo visto che il THC è il vero e proprio responsabile della fame chimica. Ma lo stesso discorso vale anche per il CBD?
La risposta, questa volta, è certa. THC e CBD sono molecole simili ma non identiche, e per tanto capaci di interagire con il nostro corpo in maniere differenti. Se il THC provoca fame chimica, interagendo con i nostri recettori e comunicando al corpo la sensazione di appetito, il CBD non causa gli stessi squilibri. Il cannabidiolo interagisce infatti in maniera più blanda con i nostri recettori CB1 e non altera la percezione dell’organismo legata all’appetito. Inoltre, come abbiamo visto in passato, il CBD si lega anche ai recettori CB2, responsabili tra le altre cose del corretto funzionamento del nostro sistema immunitario.
Sembra dunque che CBD non solo non provochi fame chimica, ma che sia in grado di aiutare l’organismo a ristabilire il suo naturale equilibrio. Inoltre, se il THC causa scompensi nel nostro regime alimentare, il CBD sembra in grado di risolvere alcuni disturbi correlati. Il cannabidiolo possiede, infatti, interessanti proprietà anti-emetiche, capaci di regolarizzare la nausea e di attenuare i comuni disturbi alimentari.
Si può dunque ipotizzare un’applicazione futura del cannabidiolo per contrastare gli effetti della fame chimica visti poco sopra. Quel che è certo, per ora, è che la cannabis light si dimostra ancora una volta un’alternativa sicura al comune spinello.
Come contrastare la fame chimica
Ora che abbiamo visto cos’è la fame chimica e perché si manifesta, sorge spontanea la domanda: come la si combatte?
Proprio perché il THC altera la nostra percezione di sazietà, e con essa la necessità di assumere zuccheri, il modo migliore per contrastare la fame chimica è mangiare cibi molto zuccherati. Il glucosio contenuto in questi alimenti verrà assimilato rapidamente, e trasmetterà in breve tempo all’organismo il segnale che cessa la sensazione di fame. Questo, ovviamente, ammesso di non essere preda di un attacco molto acuto.
La frutta è l’alimento più consigliato, perché contiene un’alta concentrazione di fruttosio (e dunque di glucosio) ma non contiene grassi in eccesso. Mele, pesche, meloni, fragole o uva, in base alla stagione, sono infatti cibi che danno al corpo preda della fame chimica un’immediata sensazione di soddisfazione.
Per quanto la tentazione sia forte, è bene evitare di concedersi dolci e alimenti complessi quando si sentono i primi morsi della fame chimica. Soddisfare quell’appetito inarrestabile con cibi ricchi di calorie non fa che innescare un circolo vizioso di fame e di consumo di cibo. Con conseguenze spesso dannose per il corpo e per il proprio regime alimentare.
Non dimenticarsi di bere
Uno dei sintomi più fastidiosi della fame chimica, e che colpisce nei casi più acuti, è l’inibizione dei recettori della sete. La conseguenza più diretta è infatti la mancanza di voglia di assumere liquidi. Per questo è importante, quando si è preda di questo insaziabile appetito, ricordarsi di bere con regolarità. La disidratazione è un sintomo molto frequente della fame chimica; in casi molto gravi (ma per fortuna anche molto rari), può sfociare persino in principi di insufficienza renale.
Meglio tenere sempre a portata di mano una bottiglia, dunque, e sforzarsi di consumare almeno un litro d’acqua nelle ore subito successive all’uso della marijuana.
Precauzioni che possono aiutare a ridurre gli effetti della fame chimica
Come abbiamo visto, uno stile di vita sano e una dieta equilibrata sono dei buoni sistemi per limitare gli effetti della fame chimica. Ma anche uno sport praticato con costanza può aiutare a lenirne i disagi. Imporre al corpo un regime sportivo aiuta a bruciare i grassi accumulati a causa della fame chimica; così come a consumare il glucosio in circolazione e a rendere più efficace l’assunzione di frutta durante la fase acuta della fame.
Anche le modalità di assunzione della cannabis possono influire sull’entità del fenomeno. Maggiore è la concentrazione di THC, infatti, maggiori saranno gli effetti della fame chimica.
La vaporizzazione è il metodo che permette di concentrare maggiormente il principio attivo. A causa delle temperature di ebollizione relativamente basse (circa 150°C) e della maggiore pressione, con questo sistema si riesce a concentrare il THC fino al 46%. Di conseguenza, ovviamente, sarà più probabile incorrere nel problema della fame chimica se si assume il principio attivo vaporizzato.
Al contrario, consumare preparati alimentari che contengono cannabis rende già molto più rara la comparsa di questo fenomeno. I cosiddetti edibles contengono concentrazioni poco significative di principio attivo, e sono dunque meno responsabili della comparsa del fenomeno. Tisane, té e dolci a base di cannabis sono dunque meno pericolosi e più sicuri di un normale spinello.
Gli spinelli, infine, sono una via di mezzo tra questi due estremi. La temperatura di combustione, che si assesta intorno ai 170°C, garantisce comunque una discreta concentrazione di principi attivi (circa il 25%); ma ne causa anche un parziale degrado, cosa che diminuisce la possibilità di subire gli effetti della fame chimica.
La fame chimica fa ingrassare?
Questo è uno dei quesiti che si ritrovano più spesso online quando si parla di fame chimica. E non stupisce, considerato che un disturbo come questo sembra alterare lo stile di vita regolare. E dunque, c’è correlazione tra fame chimica e obesità? La fame chimica fa ingrassare?
Anche in questo caso, le ricerche della comunità scientifica sono ancora in fase embrionale, anche se qualche ipotesi è già stata fatta. Sappiamo, ad esempio, che lo stimolo ossessivo a ingerire grandi quantità di cibo nelle fasi di fame chimica può incidere sulla forma fisica di chi ne soffre. Ma una ricerca pubblicata sull’International Journal of Epidemiology, intitolata Are cannabis users less likely to gain weight? Results from a national 3-year prospective study ha messo in evidenza anche un altro fatto interessante.
I consumatori di cannabis, in media, hanno meno problemi di obesità e sono meno soggetti a disturbi come diabete e scompensi insulinici. Si tratta di risultati preliminari, che necessitano di nuove raccolte dati e di nuovi studi statistici. Ma per ora, sembra darci la risposta che cerchiamo: fame chimica e obesità non sono strettamente correlate.
La fame chimica, quindi, non fa ingrassare. Ma perché? Quello che sappiamo, al momento, è che qualcosa, nell’interazione tra THC e organismo, è in grado di stabilizzare l’assimilazione del cibo in eccesso: rendendo così meno forte l’impatto del disturbo sul nostro corpo e sulla nostra forma fisica.
Fame chimica e cultura pop
Proprio perché così comune, la fame chimica è spesso protagonista anche della cultura popolare. È celebre, ad esempio, il film omonimo del 2003 diretto da Antonio Bocola e Paolo Vari. Fame chimica racconta la vita e le vicissitudini di due amici molto diversi, inseriti in un contesto periferico del sud di Milano. La droga è solo uno dei temi principali del racconto, nel quale la fame chimica è più una metafora che una reale analisi del fenomeno.
Anche la musica ha spesso tratto ispirazione da questo tema. Dalla musica italiana a quella internazionale, sono molti i cantautori che hanno dedicato uno o più brani alla fame chimica e ai suoi effetti. Tra questi troviamo Wepeo, cantautore italiano, che nel 2018 ha inciso un singolo intitolato appunto Fame chimica; Al Mukawama, rapper italianfo il cui brano Fame chimica racconta sintomi ed effetti di una fame chimica filosofica e mentale; o ancora Lorenzo Bertasi, in arte Lobe, che nel suo singolo Fame chimica parla del risveglio dopo una serata di festa tra amici.
Articoli citati sulla fame chimica
Per scrivere questo articolo abbiamo fatto riferimento ad alcune ricerche recenti pubblicate sulle principali riviste scientifici. Le trovate linkate nel testo, con i riferimenti alle conclusioni tratte dai ricercatori che se ne sono occupati. Qui sotto trovate riassunti i riferimenti alle ricerche e ai team che le hanno svolte, nonché i doi e i link agli abstract nel caso voleste approfondire:
The endocannabinoid system controls food intake via olfactory processes
Soria-Gómez E, Bellocchio L, Reguero L, Lepousez G, Martin C, Bendahmane M, Ruehle S, Remmers F, Desprez T, Matias I, Wiesner T, Cannich A, Nissant A, Wadleigh A, Pape HC, Chiarlone AP, Quarta C, Verrier D, Vincent P, Massa F, Lutz B, Guzmán M, Gurden H, Ferreira G, Lledo PM, Grandes P, Marsicano G.. Nat Neurosci.
2014 Mar;17(3):407-15.
doi: 10.1038/nn.3647.
Epub 2014 Feb 9. PMID: 24509429.
Are cannabis users less likely to gain weight? Results from a national 3-year prospective study
Omayma Alshaarawy, James C Anthony,
International Journal of Epidemiology,
Volume 48, Issue 5, October 2019,
Pages 1695–1700, https://doi.org/10.1093/ije/dyz044